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"Fare cose con le parole"

Atti forensi: massimo 30 pagine. Per legge

di Giovanni Acerboni, 15 giugno 2015

(questo articolo è stato pubblicato l'8 giugno 2015 in "Il Sole24Ore - Diritto 24")

 

Il 25 maggio 2015, il Presidente del Consiglio di Stato Giorgio Giovannini ha emanato il decreto che fissa la lunghezza massima degli atti forensi (1), ottemperando così alla Legge 11 agosto 2014, n. 114 che, all'art. 40, lo incaricava di occuparsene "al fine di consentire lo spedito svolgimento del giudizio in coerenza con il principio di sinteticità".

Per quanto le disposizioni del decreto si applichino "in via sperimentale" e dunque potrebbero essere modificate in seguito ai suggerimenti che potranno emergere dal monitoraggio del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, siamo, credo proprio per la prima volta in Italia, di fronte a un numero che, per legge, limita le parole.

In un articolo precedente, avevo argomentato che il concetto di sinteticità non potesse essere assimilato alla lunghezza (o brevità) di un testo e che, d'altra parte, la percezione di lungaggine che molti atti forensi procurano non fosse dovuta soltanto a un eccesso di informazioni (difetto di sinteticità), bensì anche alla prolissità delle frasi (difetto di concisione) e al disordine informativo (difetto di coerenza).
Bisogna però prendere atto di una disposizione di legge che stabilisce un criterio numerico, che è certo ma estrinseco alla scrittura, in luogo del criterio informativo, che valuta il fatto linguistico iuxta propria principia, ma che molti ritengono, a torto, soggetto a irriducibile opinabilità.

Le disposizioni del decreto

Il decreto conclude un dibattito avviato, in Italia, nel 2010, con l'introduzione nel Codice del processo amministrativo del "dovere di sinteticità degli atti: il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica" (art. 3).

In diversi documenti successivi, come lettere e ordinanze, la sinteticità degli atti è stata variamente proposta tra le 15 e le 25 pagine. Tra il 2012 e il 2014, vi sono poi state addirittura delle sentenze punitive di atti diciamo non sintetici, che hanno riguardato anche le cause civili (2) (il che mi fa pensare che il nostro discorso valga anche per gli avvocati non amministrativisti, in quanto il decreto valido per gli amministrativisti potrebbe esercitare una sorta di precedente 'culturale' estensibile a tutti).

Alla base del decreto vi sono:

Veniamo dunque al decreto. La lunghezza massima "dei ricorsi e degli altri atti difensivi", cioè "dell'atto introduttivo del giudizio, del ricorso incidentale, dei motivi aggiunti, degli atti di impugnazione principale ed incidentale della pronuncia di primo grado, della revocazione e dell'opposizione di terzo proposti avverso la sentenza di secondo grado, dell'atto di costituzione, delle memorie" è stabilita in 30 pagine composte in fogli A4, in corpo 12 (10 nelle note), con interlinea 1,5 e con margini verticali e orizzontali di almeno 2,5 cm.

Nelle 30 pagine non sono compresi l'epigrafe, l'indicazione delle parti e dei difensori e le relative formalità, l'individuazione dell'atto impugnato, il riassunto preliminare (che non deve essere più lungo di 2 pagine), le conclusioni, le dichiarazioni richieste dalla legge, la data e il luogo delle sottoscrizioni, l'indice degli allegati, le procure, le relazioni di notifica e le relative richieste e dichiarazioni.

Vi sono poi alcune deroghe e specificazioni.

In primo luogo, questi atti potranno raggiungere al massimo 50 pagine quando il caso è particolarmente complesso, di notevole rilievo economico (minimo 50 milioni) e trattato in atti e sentenze particolarmente numerose e ampie. Ma potranno essere ancora più lunghi se queste condizioni sono di "straordinario rilievo". In questo caso, l'avvocato deve formulare un'istanza motivata e il Presidente della Sezione deve valutarla entro tre giorni (silenzio assenso).

In secondo luogo, saranno lunghi al massimo 10 pagine (con deroga fino a 15): la domanda di misure cautelari, la memoria di replica, l'atto di intervento e le memorie della parte non necessaria del giudizio.

Al decreto e alla relativa Relazione mancano due specificazioni molto importanti, che potrebbero generare ambiguità:

 

Quando il limite di spazio guida la composizione

Imparare a non superare i limiti di spazio alla prima stesura, come i giornalisti ben sanno, richiede metodo ed esercizio (l'esercizio da solo non sviluppa l'organo, o lo sviluppa male). Gli avvocati, come tutti coloro abituati a scrivere senza doversi preoccupare di un limite, potranno faticare all'inizio, ma 30 pagine non sono poche, a ben guardare (5).

Il primo problema sarà rinunciare all'esposizione di ogni singola informazione e accettare di sintetizzare quelle indispensabili in raggruppamenti coerenti, governati da concetti gerarchicamente superiori, cioè rappresentativi di ogni singola informazione del raggruppamento. E riservare gli approfondimenti alle informazioni fondamentali, che andranno ben selezionate.

Il secondo problema sarà scegliere l'espressione linguistica più adeguata, cioè chiara e concisa. Per esempio:

Per quanto so degli atti forensi e parlando in generale, ritengo e temo che questi due problemi porranno difficoltà a molti avvocati, perché mettono in crisi una lunga abitudine fondata sull'approccio alla scrittura che hanno derivato dagli studi universitari e dalla tradizione professionale. Questo approccio, che potrei definire 'aristocratico', è giunto ormai in esplicito conflitto con le esigenze di efficacia professionale dei destinatari (mole di lavoro - atti non sintetici e poco chiari - tempo).

Il fatto è che, come tutte le scritture tecniche, la scrittura forense tende a evitare di equilibrarsi con l'evoluzione della comunicazione, sia in termini di essenzialità informativa, sia in termini di espressione linguistica. Ma, a differenza degli ambiti tecnici più esposti allo scambio culturale e linguistico internazionale (es. l'economia), il mondo giuridico non solo forense è in gran parte culturalmente e linguisticamente autoreferenziale. La resistenza è dunque maggiore.

 

Un problema di sostanza

Il dovere della sintesi e della chiarezza e il limite di 30 pagine stabiliti per legge sono segnali che dovrebbero preoccupare molto gli avvocati, per due motivi.

In primo luogo, perché sono problemi che gli avvocati non hanno percepito di avere, e che non hanno risolto alle prime avvisaglie (sono almeno quindici anni che i difetti comunicativi del linguaggio giuridico sono sotto osservazione congiunta di giuristi e linguisti), cioè prima che venisse normata la loro soluzione.

In secondo luogo, perché una norma che impone regole di scrittura che mirano all'efficienza dell'atto dal punto di vista del solo destinatario implica, almeno astrattamente, che la sostanza stessa dell'atto forense possa essere ridotta di alcune sue prerogative. Il destinatario ha tutto il diritto di pretendere regole di buona comunicazione solo nel contesto istituzionale-professionale, dove cioè ha il diritto di comprendere ma non sempre quello di fare quel che gli pare. La scrittura forense non è, però, la scrittura tecnica, amministrativa, aziendale, gli atti non sono circolari.

L'atto vive in un altro contesto: farsi capire dal giudice non è lo scopo dell'avvocato, bensì è la premessa affinché il giudice possa essere persuaso dall'argomentazione, che è lo scopo dell'avvocato. Come sostenevo più dettagliatamente nell'articolo precedente, il limite al numero delle pagine potrebbe costringere l'avvocato a sacrificare alcuni argomenti, indebolendo così la sua argomentazione, rendendola più fattuale e meno ragionativa (altra caratteristica delle scritture tecniche, amministrative, aziendali).

Preservare la sostanza professionale implica, dunque, un ripensamento serio del proprio modo di scrivere. Non basta tagliare una parola, una frase, un capoverso, una informazione ecc. fino a quando non si ottengono le 30 pagine (e se si è sotto il limite, significa forse che l'atto sia scritto bene, che sia persuasivo?). Per evitare di sottrarre disperatamente poi quel che era stato accumulato malamente prima, serve un metodo tendenzialmente non opinabile per ottenere la sintesi, serve uno stile asciutto e denso. In breve: serve (ri)fondare l'argomentazione su basi retoriche, testuali, informative e linguistiche diverse. Il decreto, infatti, mette al centro, pur 'nascondendolo' dietro un numero, il tema della qualità della comunicazione della professionalità, professionalità che molti avvocati intendono risolta nell'identificazione della linea difensiva vincente e della sua conduzione efficace nel dibattimento.

Del resto, che occorra cambiare abitudini nella comunicazione, lo ha già imposto il Processo telematico dal punto di vista tecnologico degli scambi documentali. Ma, anche qui implicitamente, il Processo telematico chiede agli avvocati una scrittura diversa: un file pdf scritto nel solito modo non è una risposta soddisfacente rispetto alla pluralità di scopi che il Processo telematico intende conseguire. Un pdf scritto nel solito modo (tranne che non supera le 30 pagine) costringerà pur sempre il giudice a stamparlo (consumando carta e contraddicendo la dematerializzazione della pubblica amministrazione) e a impiegare più tempo del necessario a leggerlo (producendo l'irragionevole durata del processo).

Non è piacevole ricevere le regole di scrittura dal legislatore (che scrive molto peggio) e dai giudici (che non scrivono meglio, come dirò fra pochissimo), ma c'è forse un'opportunità in questa circostanza, per chi saprà interpretarne gli impliciti nel senso giusto: un vantaggio competitivo non disprezzabile in tempi di crisi, soprattutto per una categoria che, secondo i dati del 2013, conta ben 250.000 iscritti agli ordini.

 

Qualcosa sui giudici

Sull'analisi della qualità linguistica delle sentenze c'è ancora molto lavoro da fare (6), ma insomma, se la confrontiamo con la qualità linguistica degli atti forensi (7), non troviamo differenze stilistiche di rilievo. Molto simili sono la sintassi e il lessico tecnico e pseudotecnico (le distinzioni principali stanno altrove: lo scopo e il destinatario dell'argomentazione e di conseguenza la struttura testuale e informativa).

Ma è interessante notare che anche gli avvocati hanno da ridire su come scrivono i giudici. C'è una non trascurabile reciprocità nell'insoddisfazione. E allora, se per me è chiaro e sintetico quello che ho scritto ma non è chiaro e sintetico quello che ha scritto il mio destinatario che scrive come me, il quale fa esattamente le stesse considerazioni ma salva il suo testo e critica il mio, ebbene, è molto probabile che stiamo parlando di due categorie convinte che il problema ci sia ma che non sia suo, bensì dell'altra categoria. In questa situazione, stabilire le regole è questione di poterlo fare, non di possedere uno stile migliore da proporre, o uno stile da proporre pur senza averlo. Da questo punto di vista, la norma dice: così non va, questo è il limite massimo per l'efficienza del sistema, per il resto arrangiatevi.

Queste considerazioni hanno due implicazioni importanti nel discorso che stiamo facendo, perché quel tanto di miglioramento del sistema giustizia che può avvenire grazie alla sintesi e alla chiarezza non si realizza del tutto, se a contribuirvi sono solo gli avvocati (8).

Prima implicazione. Se l'avvocato cambia il suo modo di scrivere, il giudice apprezzerà? Nelle varie occasioni nelle quali mi sono trovato a discutere di questi argomenti con i giudici insieme agli avvocati, i giudici si sono dimostrati assolutamente aperti a recepire quello che l'avvocato scrive comunque lo scriva (9). Però, sarebbe opportuno formalizzare l'intesa, condividere un nuovo patto di comunicazione, insomma definire uno stile che:

Seconda implicazione. Se il giudice non cambia il suo modo di scrivere, l'avvocato non potrebbe appellarsi più facilmente e frequentemente alla complessità degli atti del giudice per motivare deroghe al limite di 30 pagine?

 

Conclusioni

La norma delle 30 pagine è il sintomo di un malessere profondo e diffuso del sistema giustizia. Come accade spesso alle norme che fissano, oltre ai principi, anche le tecniche per realizzarli, questa norma lascia a desiderare e fa pensare che, come ho scritto meglio nell'articolo precedente, legislatori e giudici abbiano sintetizzato un po' impropriamente nel concetto di sintesi un insieme di difetti che potrebbero benissimo sopravvivere, soprattutto negli atti inferiori alle 30 pagine, che sono la maggioranza.

Il limite stabilisce un criterio di conformità, non di qualità. Anche se avessero (almeno in mente) un modello di qualità, il legislatore e il giudice non l'hanno proposto e ritengo che proporlo non sarebbe stato opportuno. Ma questo è il terreno sul quale occorre lavorare. La qualità della comunicazione processuale è un valore civile. Definire la qualità e i criteri per misurarla è possibile (10). Serve un confronto aperto, senza riserve mentali, da parte di tutti gli attori in gioco.

 

Note

1) Decreto n. 40.

2) Per esempio, Cassazione Civile, Sezione VI, ordinanza 23836: inammissibilità del ricorso e 5.200 € di spese di giudizio.

3) Nel Decreto e nella relativa Relazione non si citano questi provvedimenti. Uno probabilmente utilizzato, e in ogni caso interessante, è Istruzioni pratiche alle parti, Tribunale dell'Unione Europea, Curia Luxembourg, nell'ultima versione dell'8 giu. 2011 (GU L 180), che stabilisce per atti diversi limiti diversi, compresi tra le 15 e le 50 pagine.

4) Osservazioni del Consiglio Nazionale Forense sulla bozza di decreto del Presidente del Consiglio di Stato che disciplina la dimensione dei ricorsi e degli altri atti difensivi, 16 aprile 2015.

5) Dall'istruttoria condotta presso il Tar Lazio e il Tar Lombardia risulta che i ricorsi più lunghi di 40 pagine sono una piccola minoranza (soprattutto in Lombardia).

6) Ottimo il volume di Maria Vittoria Dell'Anna, In nome del popolo italiano. Linguaggio giuridico e lingua della sentenza in Italia, Bonacci editore, Roma, 2013.

7) Mi baso sul mio archivio e sui pochi studi specifici.

8) In fondo, l'art. 3 del Codice del processo amministrativo si rivolge anche ai giudici e il decreto del Presidente del Consiglio di Stato lo ribadisce.

9) Una di queste occasioni è stata l'azione formativa "Processo all'atto", tenuta presso l'Ordine degli Avvocati di Milano il 10 novembre 2014. Sotto processo finiva un atto che, secondo il cliente, aveva perso la causa perché era scritto male. Molto interessante il dibattito gli avvocati presenti e il giudice, che alla fine ha assolto l'atto per insufficienza di prove, riconoscendo in tal modo la rappresentatività di quell'atto sia rispetto allo stile medio forense sia rispetto allo stile medio delle sentenze. Qui, un articolo sul "Processo".

10) Un buon esempio, che però non si applica alla comunicazione processuale, è dato dalla norma UNI 11482:2013 Elementi strutturali e aspetti linguistici delle comunicazioni scritte delle organizzazioni, che ha razionalizzato la comunicazione interna ed esterna delle organizzazioni pubbliche e private. Un mio articolo di presentazione.